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Da Aranno al mondo... e ritorno

Noi, che ci inoltriamo nel meraviglioso giardino musicale di Ivo Antognini a bocca aperta e con gli scarponi di una passione per la musica ingenua e ineducata, lasciamo dire come stanno le cose a chi non manca di cultura musicale e ha buona conoscenza del paesaggio locale; ticinese anche lui come il protagonista di questa inedita puntata del Federalista.

Ha scritto Zeno Gabaglio (per i bravissimi “Naufraghi”): “A differenza di tanti altri artisti nostrani, di cui si cantano settimanalmente le lodi per opere o riscontri spesso meno rilevanti – l’attenzione dei media e dei programmatori della Svizzera italiana è assai lontana dal riconoscere e fieramente declamare le qualità di un autore che altrove ci invidiano, e non poco”.

Non c’è dunque bisogno, caro lettore, di sentirti in colpa se di Ivo Antognini finora non conoscevi neppure il nome. Come chi scrive, del resto. Fin quando… qualche mese fa l’autoradio non emise sprazzi di una musica corale che ci colpì d’acchito e ci indusse a inforcare al volo con una mano il cellulare (un mezzo reato) per attivare Shazam, la mitica app che riconosce e segnala il disco riprodotto. È lì che apparve il nome “Ivo Antognini” che, googhellato, rimandava a produzioni jazz e dischi di musica corale.

Ma chi è dunque questa nostra gloria, riconosciuta ovunque nella sua grandezza salvo, proverbialmente, che in patria? Andiamo a scoprirlo. Ascoltate qui, per incominciare.

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Stupiti da questa bellezza, ci diamo da fare per incontrare di persona colui che ha generato questa prodigiosa cascata di armonie, inusitate ma in qualche modo familiari (c’entra anche il jazz, come sentiremo, a innervare l’eredità della grande tradizione polifonica e dei testi sacri medioevali).

Un primo incontro al Birrificio di Bioggio… l’esperienza affascinante di trovarsi di fronte un compositore, un artista che lavora il suono come il pittore le forme e i colori, ma che prima di ogni cosa ha ricevuto il dono di un orecchio fuori del comune. Chiediamo di poter andare a scoprire dove vive e lavora: accordato. Due parole su quello che sappiamo di lui, prima di salire ad Aranno a tempestarlo di domande.

Ivo Antognini è di origini locarnesi ma è radicato come un castagno nel Malcantone. Prima Bioggio, poi Aranno, dove trasforma un pezzo di casa inserito nel nucleo antico del villaggio per abitarci con la famiglia. La moglie Patrizia è musicista (pianoforte e clavicembalo) e musicisti sono il figlio Milo (violino) e la figlia Eleonora (una rapper, di stanza a Milano). Diplomatosi in pianoforte nel 1985 a Lucerna sotto la guida di Nora Doallo, Antognini insegna dal 1987 al Conservatorio di Lugano.

Ne sappiamo abbastanza per entrare in casa e salire nel soppalco mansardato del secondo piano, dentro il bugigattolo dove Antognini si ritira a comporre, sancta sanctorum dove avvengono i prodigi della sua creazione artistica. Non è retorica: che di prodigi si tratta ne converrete al termine di questa fortunosa ricognizione, se avrete la pazienza di seguirci in un percorso a suo modo multimediale (si ringrazia la Apple per aver creato l’iPhone).

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Un leggio, la matita e qualche spartito scarabocchiato. Una semplice tastiera collegata alle cuffie, nessuno deve sentire le note e gli accordi tentati e vagliati in un dialogo con se stesso, alla ricerca della forma compiuta. Di questa fase del suo lavoro Ivo è gelosissimo. Il risultato, prima di finire sulla carta è già tutto nella sua memoria, e questo è il prodigio di quell'orecchio "fuori del comune" (come lo chiama).

Ecco, in un primo breve spezzone audio dei nostri dialoghi, cosa capitava dopo che il Nostro fu mandato a studiare pianoforte privatamente da una maestra pensionata che si trovava “qua sopra, su nel bosco”.

Gli anni passano e Ivo, come detto, si diploma a Lucerna nel 1985. Due anni dopo si presenta per lui l’occasione –che afferra al volo- di assumere una cattedra molto particolare al Conservatorio della Svizzera Italiana. La disciplina è quella tradizionalmente denominata “solfeggio”. Antognini se ne fa carico e la ribattezza “ascolto”.

Si tratta infatti per gli studenti di cogliere a orecchio un brano presentato dal docente per poi tentare di trasporlo sul pentagramma. Impresa ardua per chi non sia dotato di quell’orecchio-magnetofono di cui è dotato Ivo, che in questo esercizio si muove come un pesce nell’acqua.

Dal soppalco della creazione, ci spostiamo nel soggiorno, dove campeggia il pianoforte.

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C’è una tappa fondamentale nell’apprendistato del maestro Antognini che ora dobbiamo ripercorrere, sempre affidandoci al suo "libro dei ricordi". In quest’altro spezzone della nostra conversazione, tornati al pianoforte, emerge anche un piccolo ma –a nostro avviso- emblematico (e bellissimo, per chi ami il jazz) esempio di improvvisazione.

Se è curioso che un giovane e severo (a detta degli studenti) insegnante di Conservatorio (28 anni a quel tempo) si butti a frequentare per un anno la Scuola svizzera di jazz, è ancor più curioso, e raro, che un pianista classico sappia esprimersi nell’improvvisazione.

Ma ora è giunto il momento di dare spazio a un altro incontro del Nostro, quello decisivo (fino ad oggi per lo meno) che gli dei e le muse, Calliope in testa, erano impazienti di provocare.

Ivo rientra a tal punto commosso da una serata di musica corale (senza peraltro uscire dal Malcantone) da mettersi a comporre di punto in bianco, la notte, il suo primo pezzo per coro. E dal Malcantone la sua musica corale prenderà in breve a viaggiare per il mondo. Ma lasciamo raccontare da lui.

È l’occasione per capire lo straordinario lavoro di intreccio e di rimbalzo tra le parole dei testi e i ritmi, gli accenti della musica che sta dietro una composizione di Ivo Antognini. E per capire le ragioni che spingono il compositore ticinese a usare e valorizzare la lingua latina.

Ascoltiamo allora per intero lo stupendo Come to me, brano di apertura che dà il titolo al disco edito dalla britannica Hyperion e che contiene 16 pezzi, tutti di Ivo Antognini.

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L’esecuzione che avete ascoltato è stata registrata durante una sessione di prova del brano che, come detto, dà il titolo all’ultimo disco di Antognini (Come to me in the silence of the night, di cui potete trovate la presentazione su youtube, con Ivo stesso a decantare la bravura degli esecutori). Ebbene, questi ragazzi in tenuta da ginnastica rappresentano uno dei primi quattro cori del mondo, il Coro del Trinity College di Cambridge. E quel maestro in felpa che li dirige è nientemeno che Stephen Layton, ovvero il top in questo campo, a detta di chi se ne intende (e a intendersene è la rivista “Gramophone”).

Ce n’è parecchi di cori professionali nel mondo che dedicano i loro concerti a musiche di Ivo Antognini. I nomi? Trinity Wall Street Choir, Artists’ Vocal Ensemble, Vancouver Chamber Choir, Santa Fe Desert Chorale, Cappella Nova, Antioch Chamber Ensemble, St. Lawrence Choir, Kölner Kantorei, Lund University Male Choir, de Angelis Vocal Ensemble, Salt Lake Vocal Artists, Milwaukee Choral Artists, Swiss Youth Choir, Elektra Women’s Choir, Oriana Women’s Choir e molti altri.

La Copertina Dellalbum
La copertina dell'album "Come to me in the silence of the night"

Anche in patria, se allarghiamo l’orizzonte oltre Gottardo, si comincia a scoprire la musica di Antognini, tant’è vero che la cattedrale di San Gallo gli ha commissionato di recente la composizione di due Messe (l’ultima eseguita ai primi di maggio nella grande chiesa sangallese).

E va pur detto che in Ticino c’è chi si è accorto di avere in casa un grande compositore divenuto una celebrità mondiale (fuori dall’Europa, in America e Giappone, in particolare): Giovanni Conti, che di canto corale è impareggiabile cultore e divulgatore e che ad Antognini ha dedicato nel maggio dello scorso anno una serie di tre puntate in Quilisma, la sua rubrica in onda sulla rete due di RSI.

Ma il grande appuntamento è per questa domenica (alle 11.20) a Paganini (RSI LA1) con il documentario di Fabrizio Paltenghi dal titolo “Le chiavi di Ivo”, un ritratto stupendo (visto in anteprima) di Antognini girato in mille angoli della Terra.

Torniamo ancora per qualche minuto con Ivo Antognini, proprio per farci raccontare come sia avvenuta, nel mondo appunto, la scoperta della sua musica.

“Sono un pizzaiolo”. Umiltà e modestia –l’avete sentito- sono, con la genialità, le caratteristiche che identificano Ivo Antognini. Anche se gli piace pensare che “in questo momento” nel mondo c’è qualcuno che sta cantando, in prova o in concerto, la sua musica.

E senza dimenticare quanto raccontò a Giovanni Conti in una delle citate conversazioni radiofoniche: “Ho cominciato come tutti i giovani sui 20 anni a fare musiche sperimentali, quelle che adesso definisco ‘musiche inutili’; facevo esperimenti copiando le tecniche allora più diffuse, serialismo, dodecafonia, politonalità… poi c’era la prima mondiale che era anche l’ultima”.

Una piccola perla, giusto per concludere: uno dei pochissimi canti per i quali Ivo Antognini ha scritto di suo pugno il testo, come ci spiega nel prossimo audio e del quale sentiremo in coda l’esecuzione cantata.

Ascoltiamolo. A testimonianza di una tempra umana che dall’angolo incantevole e felice della sua Aranno si apre al mondo. Anche al mondo delle ingiustizie e delle tragedie di cui le cronache sono zeppe. Ma sulle quali Ivo non riesce a non stendere il manto della bellezza che gli esce dal cuore e dalle mani.

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Questa domenica (vedi sopra) la nostra televisione dedicherà un bellissimo ritratto a Ivo Antognini. Da non perdere.

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