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Ospedali, il conto è scoperto

Siamo al giorno del giudizio, il D-Day del temuto annuncio, quello sui premi di cassa malati 2025. Ci attende l’ennesima stangata. Frattanto, con tempismo calcolato, l’associazione svizzera degli ospedali ha lanciato lunedì il suo allarme: stiamo affondando, senza aumento delle tariffe andiamo verso il fallimento. Si aggiunga che tra un paio di mesi saremo chiamati a votare una nuova legge che modifica il sistema di copertura delle spese ospedaliere, chiamando alla cassa in modo paritario Cantoni e casse malati. Per il Ticino si prevede, in tempi di austerità conclamata, un esborso stellare. Che si fa? Cerchiamo di capire il complesso ingranaggio che lega la qualità delle cure ai ruoli dei diversi attori della sanità. Parlano le assicurazioni malattia, gli ospedali e l’esperto più accreditato (e temuto) nella scienza non troppo esatta dei costi della salute.

Lievitano i costi della sanità e l’ennesima stangata sui premi, che si svelerà domani con la nota liturgia seguita dalle arcinote lamentationes e improperia, è già stata anticipata ieri dal vicedirettore del Corriere del Ticino Gianni Righinetti: +10% per il Ticino e +5-6% per il resto del Paese. 

Torna la domanda che affatica politici e giornalisti da decenni. Perché? Si stanno sprecando cure e soldi? Oppure la coperta da stendere sui costi della salute è ogni anno più corta? Il tema dell’edizione odierna prende spunto dall’allarme lanciato questo lunedì in un comunicato stampa da H+, l’ associazione che raduna gli ospedali, le cliniche e gli istituti di cura svizzeri. 

È necessario, ammoniscono i gestori dei nosocomi, aumentare immediatamente le tariffe ospedaliere del 5% per attutire il sottofinanziamento e le conseguenze del rincaro. E aumentare gradualmente del 15% quelle ambulatoriali nei prossimi anni per fare fronte ai costi reali. 

Ohibò: altri costi aggiuntivi da scaricare, in fin dei conti, sull’assicurato/contribuente? Secondo assicuratori e Cantoni le tariffe ospedaliere non si possono alzare. Ma non alzarle, ribattono gli ospedali, potrebbe portare a un degrado della qualità della sanità svizzera. Enigma insolubile.

In ballo, tra l’altro, c’è anche un’importante votazione: il 24 novembre il popolo svizzero sarà chiamato a esprimersi su una riforma del sistema di finanziamento della sanità. Se oggi tutti i costi del settore ambulatoriale ospedaliero (tutte le cure che non richiedano pernottamento) gravano sulle spalle delle assicurazioni e quelli dello stazionario (i ricoveri) sono condivisi con i Cantoni  -i quali contribuiscono per il 55%-, così non sarà più a riforma accettata.

Se infatti venisse approvata la legge che prevede il “finanziamento uniforme delle prestazioni” (acronimo EFAS), verrebbe introdotta un’unica quota di spesa a carico dei Cantoni (26,9%) per tutte le prestazioni in ospedale, siano esse stazionarie o ambulatoriali. Allarmato, il Consiglio di Stato ticinese in fase di consultazione si è detto contrario, in quanto si ritroverebbe a sborsare (secondo proiezioni) tra i 57 e gli 80 milioni aggiuntivi ai finanziamenti attuali (e in epoca di inevitabili risparmi…) Ma occhio, non per tutti i Cantoni la nuova legge comporterebbe un aumento di spesa. C’è persino chi ne uscirebbe avvantaggiato. La maggior parte dei Governi cantonali, a conti fatti, non si oppone alla riforma.

Per fare un po’ di ordine in questo ginepraio di informazioni abbiamo sentito tre voci: quella di Marco Romano, in rappresentanza di Cura Futura (gli assicuratori), Alessandro Bressan, membro di comitato in H+ (nonché direttore Eoc Bellinzona e Valli, Iosi e Ipsi), e Bruno Cereghetti, noto esperto in materia di finanze sanitarie. Con loro proviamo a rispondere ad alcune domande: 

-le tariffe ospedaliere sono davvero troppo basse? 

-quali alternative ci sono per far fronte all’esplosione dei costi? 

-la riforma che voteremo, risolve oppure aggrava i problemi finanziari della nostra sanità?


Spitale Svizzero


Tariffe troppo basse, gli ospedali non ce la fanno


È chiaro che le tariffe non sono più adeguate”, ci dice subito Alessandro Bressan. “Il 90% degli ospedali svizzeri non ha un margine sufficiente per garantirsi la sopravvivenza a medio e lungo termine. Un margine che dovrebbe essere del 10%, quando in media l’anno scorso è stato solo del 2,5%”.

Con quali conseguenze? “Questo valore”, approfondisce, “non consente di sostenere gli investimenti, rinnovare le infrastrutture o acquistare i macchinari necessari”. I costi della sanità, peraltro, mancano di copertura in maniera eterogenea. “In ambito stazionario i nostri costi restano scoperti grosso modo del 10%, mentre in ambito ambulatoriale la situazione è ancora peggiore, con una copertura mancante del 30%”.

Ma è solo un problema di tariffe, oppure -domanda eterna- si potrebbe lavorare sulla riduzione dei costi? “Noi vorremmo trasferire sempre più attività dallo stazionario all’ambulatoriale”, spiega Bressan, “anche perché in genere l’ambulatoriale ha costi minori rispetto allo stazionario. Tuttavia, più operiamo questo trasferimento e più andiamo in cifre rosse, perché le tariffe dell’ambulatoriale non coprono i costi, sono bloccate da troppi anni”. 

Anni, come tutti sappiamo, segnati da un’incalzante inflazione: “Tutti gli aumenti dei costi dovuti alla guerra in Ucraina, ai problemi di approvvigionamento, all'aumento delle catene logistiche e del costo del personale non sono stati riconosciuti. E mentre noi paghiamo tutti gli scatti salariali, le tariffe sono rimaste le stesse”.

Occorre infatti ricordare che, come si diceva, l’ambulatoriale, nel regime attuale, ricade completamente sulle casse malati. È un problema” chiosa Bressan, “perché questa situazione non crea un grande incentivo a spingere verso l'ambulatoriale, né per le casse malati né per gli ospedali. Potrà essere importante, in questo senso, la votazione del 24 novembre. Con l'EFAS si cerca infatti una ripartizione più equilibrata dei costi, così che sia lo stazionario che l’ambulatoriale vengano posti a carico, in solido, di Cantoni e di casse malati”.


Bressan
Alessandro Bressan

Il nuovo finanziamento farà davvero la differenza?

Parrebbe insomma che, in un qualche modo, la votazione del 24 novembre possa segnare un passo avanti per la sanità svizzera. Ne è convinto, nell’ottica delle assicurazioni malattia, Marco Romano: “Questa riforma permetterebbe di realizzare a corto o medio termine risparmi tra 1 e 3 miliardi di franchi” (sebbene vi sia chi lo contesta, come vedremo tra poco) “e soprattutto toglierebbe i falsi incentivi che si realizzano oggi”.

I falsi incentivi -tutti ne parlano- cosa sono e come si generano? “Avendo sistemi di finanziamento differenti, oggi determinati trattamenti, per esempio, sono finanziariamente più interessanti per le casse malati se svolti in ospedale, con una notte di ricovero, in parte sulle spalle del Cantone, quando oggettivamente il costo per la collettività sarebbe più basso se il trattamento venisse eseguito in modalità ambulatoriale. Finalmente, avendo un finanziamento condiviso, non ci sarà più il falso incentivo di scaricare prestazioni su un altro attore”, spiega Romano (senza dunque nascondere l’esistenza di tali astuzie). 

 “Questa prospettiva”, continua, “consentirebbe un ampio margine di risparmio in Svizzera. Oggi sono circa il 20% i trattamenti eseguiti in modalità ambulatoriale. La medicina avanza, la possibilità di essere accompagnati e curati in casa cresce, i Paesi attorno a noi viaggiano tutti attorno al 50% di cure ambulatoriali, il Canada è persino all'80%. Quindi c’è il potenziale per andare maggiormente verso l'ambulatoriale, dove non avendo il soggiorno, non avendo spese di struttura più ampie, si riducono massicciamente i costi”.

Si riducono i costi? D’accordo, ma non per tutti.  Poco contento della riforma si dichiara -come anticipato- il nostro Cantone. “Quello delle finanze cantonali non può essere un argomento”,  taglia corto Romano. “Questa riforma, nell’ottica di gestire lo sviluppo dei prossimi anni, è un fattore chiave, in quanto pagando in maniera coordinata, c'è un maggiore stimolo a intervenire, a limitare, a gestire e a strutturare in maniera diversa”.

Dospedali

Tariffe su = premi più alti

La musica cambia, se al concorde inconsueto duetto di ospedalieri e assicuratori, subentra la voce dissonante dell’esperto per antonomasia di casse malati e costi della salute. “È ridicolo pensare che questa riforma possa costituire un toccasana”, tuona subito Bruno Cereghetti. “Quanto partecipino i Cantoni e quanto gli assicuratori al complesso generale è stato studiato a tavolino col bilancino. E praticamente la situazione non cambierà: gli assicuratori di regola pagheranno quello che pagano ora, i Cantoni pagheranno quello che pagano ora, con alcune eccezioni, come il Ticino, che sborserà di più, mentre altri realizzeranno risparmi, in virtù di calcoli astrusi. Che ci sia la possibilità concreta con il finanziamento uniforme delle prestazioni, di risparmiare da 1 a 3 miliardi è una barzelletta”.

E che dire dei “falsi incentivi”? Per Cereghetti si tratterebbe di un luogo comune che all’atto pratico non trova riscontro: “Oggi il trasferimento verso l'ambulatoriale non è dettato da calcoli ma dall'evoluzione tecnica della medicina. Fortunatamente certi interventi possono vieppiù risolversi in ambito ambulatoriale; quello del falso incentivo si è ridotto a slogan.”

Altri modi per risparmiare

Eccoci dunque ad affrontare il tema chiave delle tariffe. Marco Romano non ritiene che vadano alzate. “Quando si parla di tariffe, le casse malati difendono gli interessi del cittadino/paziente, perché ogni aumento tariffale significa maggiori costi per il cittadino, quindi aumento del premio e maggiori costi per il Cantone, tramite la sua quota parte”.

“Questo implica”, approfondisce, “che per gli assicuratori, prima di aumentare le tariffe, debbano essere realizzate tutte le ottimizzazioni possibili e tutte le riforme possibili per evitare l’aumento, perché un aumento significherebbe una vera esplosione dei costi per il cittadino e per il Cantone. Occorre anzitutto fare quanto possibile per ottimizzare le strutture mantenendo la medesima qualità”. In che modo? 

M Romano
Marco Romano

Densificare gli ospedali, promuovere le cure a domicilio

“Oggi in Svizzera abbiamo 278 ospedali, e un potenziale enorme per rendere il sistema più efficiente ed efficace. Ogni Cantone fa la propria pianificazione, c'è una spinta alla pianificazione intercantonale. Ma è un nice to have, non è ancora nulla di definitivo”, argomenta Romano. 

Nazionalizzare il sistema, insomma? “Non si vuole una pianificazione nazionale, sarebbe totalmente irrispettoso del federalismo”, precisa Romano. “Quello che bisogna chiedere ai Cantoni è di agire tramite mandati di prestazione intercantonale: ne beneficerebbero qualità e attrattività professionale e si ridurrebbero i costi”.

E puntualizza: “Questo vale anche per un Cantone come il Ticino, dove ci si muove sempre più velocemente con i mezzi di trasporto pubblico. Tutta una serie di prestazioni potrebbero essere centralizzate e specializzate nell’uno o nell’altro ospedale. La tendenza è già questa, ma tutte le analisi, soprattutto provenienti dal mondo medico, dicono che c'è un alto potenziale per densificare ulteriormente”.

“Anche lo Spitex può essere potenziato: oggi lo si concepisce come un servizio per anziani”, spiega, “ma può giovare anche a persone che anziché stare per due o tre giorni di riabilitazione in ospedale, potrebbero rimanere a casa e ricevere a domicilio le cure necessarie -con la relativa riduzione dei costi legati alla struttura”.

Riduzione dei costi -esemplifica ancora- , “che da un lato può essere favorita dalla telemedicina (oggi con un telefonino c'è la possibilità di accedere 24 ore su 24 a servizi medici immediati) e dall’altro da una ‘cura dimagrante’ sui prezzi dei medicinali: anche quelli più comuni, come il Dafalgan, hanno prezzi spropositati, nonostante abbiano raggiunto importanti volumi di vendita. Il Parlamento sembra pronto a intervenire su questi fattori, la decisione dovrebbe arrivare in dicembre. Solo questo modello ci permetterebbe di risparmiare 400 milioni l'anno”.

Cereghetti
Bruno Cereghetti

Ogni riduzione di costi mette a rischio la qualità

Di tutt’altra opinione è Bruno Cereghetti, proprio a partire dai costi dei medicinali: “Oggi il vero problema che tocca la nostra popolazione non è tanto il costo dei generici, quanto piuttosto la penuria di medicinali”, spiega. “Perché c'è penuria di farmaci? Paradossalmente perché sono calati “troppo” di prezzo, si intende dal punto di vista delle aziende produttrici. In particolare quelli che costano meno di 70 franchi, che però sono importanti per la popolazione”.

Ridurre i costi, secondo Cereghetti, non è possibile, se vogliamo mantenere invariata la qualità del servizio: “Il problema è che le tariffe degli ospedali sono sempre state troppo basse, ciò che implica un incasso insufficiente per far fronte alle spese. Bisogna calcolare che nell'ambito nosocomiale la spesa, che poi si traduce in spesa LaMal, per l'80% è formata dal salario. È quindi una spesa fissa sulla quale non è possibile interagire più di tanto, in quanto vincolata a contratti”.

“Il problema emerge con veemenza oggi perché gli ospedali hanno consumato,  a livello svizzero ma anche ticinese, tutto il capitale, quindi non hanno più capitale proprio. Ecco perché se non si interviene con un aumento tariffale, gli ospedali si troveranno nella situazione di deficit permanente. E questo è pericolosissimo” sentenzia Cereghetti. “giacché gli ospedali non falliranno mai, ma dovranno bensì agire sulle spese, e agire sulle spese significa agire sul personale paramedico, perché a pesare sui costi è la struttura paramedica. Risultato? Una caduta della qualità delle cure”. 

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Ospedali dissestati: paga sempre il cittadino

Torniamo insomma al grido di allarme lanciato da H+, l’associazione ospedaliera. Bressan: “Se le tariffe sono troppo basse, per gli ospedali legati allo Stato le eventuali perdite e i conseguenti investimenti necessari dovranno essere coperti dai Cantoni”, C’è un esempio di cronaca recente: “Il Cantone di Argovia ha iniettato 240 milioni l'anno scorso. Alla fine, chi paga è sempre il cittadino, che si tratti di premi assicurativi o di imposte; siamo sempre noi cittadini a coprire le perdite degli ospedali. Non escludo che in futuro succeda lo stesso con l’EOC”.

Alzare le tariffe? Non sembra un’ipotesi all’ordine del giorno, se si esclude l’SOS degli ospedali. Cereghetti è tagliente: “Gli assicuratori non sono dei partner che abbiano interesse alla qualità del sistema, hanno interesse a esistere in quanto tali, come aziende. Per gli assicuratori è imperativo tenere bassi i premi nel limite del possibile, in quanto tetanizzati dalla paura che si arrivi alla soluzione dell’assicuratore unico nazionale.”

Sentenzia amaro Cereghetti: “ Se non si alzano le tariffe, soprattutto nel settore ospedaliero, si andrà incontro inevitabilmente a un decadimento della qualità della medicina”.

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