Un'altra idea di sindacato
Un sindacato che si ispira alla Dottrina sociale cattolica, che mette al centro la persona, valorizza il lavoro e l'azienda ha ancora posto in quest'epoca e in questa società? La risposta la danno i 40mila lavoratori iscritti a OCST, l'organizzazione sindacale cristiana che dopo cento anni di militanza rimane il maggior sindacato in Ticino. Vale allora la pena interrogarsi sul segreto di questo successo, che non è frutto soltanto di buona organizzazione ma proprio della fedeltà alle grandi parole di quella dottrina che, se scrutate con intelligenza, permettono di umanizzare il lavoro in ogni epoca e contesto sociale. Ne parliamo con il neoeletto presidente di OCST Gianluca D'Ettorre, un esponente del sindacato "cugino" d'oltrefrontiera, la CISL, e un esperto di diritto del lavoro.
Sono quasi 40'000 i lavoratori che in Ticino sono associati a OCST (l’Organizzazione cristiano-sociale ticinese), sindacato che dichiaratamente si ispira alla Dottrina sociale della Chiesa: numeri impressionanti e di gran lunga più importanti di quelli di qualsiasi altro sindacato attivo nel nostro territorio.
Siamo sicuri che, per molti, questa risulterà una notizia nuova, anche perché OCST, rispetto ad altre realtà, agisce in maniera meno “roboante” e il suo muoversi è più discreto. È perciò lecito stupirsi -per chi abbia tarato le dimensioni dei sindacati ticinesi sulla loro eco mediatica- del suo notevole successo tra i lavoratori.
Donde trae origine tale successo? Parte della risposta è da ricercare certamente nei contenuti emersi durante il Congresso cantonale tenutosi sabato scorso (4 maggio) al Palazzo dei Congressi di Lugano: "Persone prima che risorse", titolava OCST. Ed è forse per questa centralità data alla persona che il sindacato cristiano ha oggi ancora qualcosa di suo da dire rispetto alle altre realtà, prevalentemente di stampo socialista e di ispirazione marxista, che operano nel nostro mondo del lavoro.
Cerchiamo di mettere in luce le caratteristiche di un sindacato che si ispira alla tradizione della dottrina sociale e che forse proprio per questo conserva ancora oggi la sua attrattiva.
Si tratta di una tradizione che ha generato opere sociali e in particolare sindacali in tanti Paesi del nostro continente. Più vicine a noi quelle sorte in Italia, sebbene le connessioni con i movimenti sociali sviluppatisi nelle altre regioni cattoliche della Svizzera hanno avuto -e mantengono- il loro peso.
Guardiamo dunque a sud e apriamo il dialogo dapprima con un sindacalista dei “cugini” italiani di OCST, ovvero la CISL, il sindacato che in Italia storicamente si ispira alla Dottrina sociale della Chiesa. Daniel Zanda è segretario della Federazione cislina che si occupa di lavoratori “somministrati” (noi li chiamiamo “interinali”), autonomi e atipici.

Un “io” consapevole che diventa un “noi”
Zanda ci conferma subito che, “sicuramente, tra i primi elementi che contraddistinguono un sindacato come il nostro ci sono il valore e la centralità della persona. Nel senso che il nostro referente originario non è la classe lavorativa, bensì il singolo socio”. Interessante, purché non siano solo belle parole.
“Tutt’altro. È solo quando i bisogni del singolo si riscoprono come bisogni che accomunano diverse persone che si innesca un meccanismo di solidarietà”, mette a fuoco il segretario. “È una solidarietà che nasce dal basso, perché le singole persone si riconoscono dentro un approccio fraterno, dentro un approccio che le rende certe quindi di condividere gli stessi bisogni, le stesse necessità, le stesse problematiche”.
“La dinamica collettiva”, spiega, “non è il punto di origine, perché il punto di origine non è la classe dei lavoratori, ma è sempre una singola persona, un ‘io’ che crescendo nella consapevolezza di sé può poi approdare ad affermare un ‘noi’”.
“Uno dei rischi più grandi che intravedo oggi”, precisa infatti Zanda , “è la tentazione del singolo di ‘fuggire’ dal lavoro, di trovare il modo per starci il meno possibile, per lavorare sempre meno. La tentazione di ogni singola persona è di sostituire il lavoro con il reddito, di concepirlo come una semplice acquisizione di reddito”.

Il lavoro che nobilita l’uomo
Ecco perché “una delle grandi sfide di oggi è adoperarsi affinché avvenga una riacquisizione del senso del lavoro, del suo significato e del suo valore. Il lavoro è oggi ormai troppo relegato a una delle tante componenti della vita. Quando proprio la dottrina sociale ci insegna invece che il lavoro è uno degli aspetti della persona che maggiormente la riconduce alla sua componente umana, siccome il lavoro è il luogo in cui la persona prende coscienza di sé, collaborando all'opera della Creazione”.
Cosa vuol dire, dunque, adoperarsi in questo senso? “Nell'atto pratico, io penso che la cosa migliore e più importante da fare sia ridare qualità al lavoro, renderlo più attrattivo. Molto spesso leggiamo il mercato del lavoro sui dati quantitativi: quanti sono gli occupati, quanti i disoccupati.
Ovviamente la prima battaglia è quella che ciascuno abbia lavoro. Ma il secondo problema è quello della qualità: che si possa avere la giusta remunerazione, che si possano avere le giuste competenze, che ci sia formazione continua, che siano prioritari la salute e la sicurezza. Occorre anche porre l’accento su più elementi di conciliazione tra lavoro e vita privata”.

La promozione culturale e spirituale del lavoratore
La preoccupazione nei confronti del lavoratore, che prima di essere lavoratore è persona, è anche e principalmente di tipo culturale, in senso forte, diciamo pure “spirituale”. Non a caso leggiamo nell’art.3 dello statuto di OCST, che lo scopo dell’organizzazione “è la promozione spirituale, culturale e materiale del lavoratore”.
Forse, se vogliamo capire cosa si intenda con “promozione spirituale” può essere utile tornare alle origini storiche del sindacato cristiano in Ticino (qui sopra la copertina di una pubblicazione di riferimento).
Pochi sanno che all’inizio del secolo scorso, il principale promotore del sindacalismo nel nostro Cantone fu un sacerdote, fortemente ispirato alla Dottrina sociale della Chiesa, il canonico Carlo Roggero (1868-1938) di Locarno. Lo stesso, assai più noto, don Luigi Del Pietro, ne raccolse in qualche modo il testimone dopo la Prima Guerra mondiale.
Mons. Roggero fu fondatore delle Leghe Operaie Cattoliche (LOC) -sulla scia delle quali nascerà poi OCST- e redattore del “Bollettino del Bureau Popolare”, poi del quindicinale “La Gazzetta del Lavoratore”, divenuto in seguito "il Lavoro", ancora oggi il giornale di OCST. Scriveva Roggero:
"Quando l'operaio avrà ottenuto migliori condizioni di vita avrà forse raggiunto lo scopo ultimo della sua esistenza? No, il nostro movimento non è semplicemente un movimento per il pane, una lotta per la vita, ma una lotta per l'ideale, un combattimento in favore di una grande idea, un movimento per l'elevazione morale del quarto stato (...). Questo avviene per mezzo delle Leghe operaie, nelle quali si svolge il vero e l'intero programma della nostra organizzazione, nelle quali si assurge dall'azione economica all'azione di principi, in favore degli ideali, per il trionfo della riforma sociale. Sì, il lavoro che le LOC devono e vogliono fare è un lavoro principalmente spirituale, un lavoro di elevamento e di perfezionamento. E un lavoro silenzioso ma costante, di riforma e rinnovamento della società che vien compiuto col coltivare la riforma individuale. Senza la riforma di sé stesso non si raggiungerà mai la riforma sociale cristiana." (da “il sindacalismo di area cattolica nel Cantone Ticino”, p.66).

L’autonomia dalla politica
Ma veniamo al Secondo Dopoguerra e alle lotte sociali di quel periodo, dove la fase nascente dell’italiana CISL ci fornisce altri spunti per afferrare la specificità di un sindacato cristiano. Ci aiuta a illuminarla il professor Guido Canavesi, docente di Diritto del lavoro all’Università di Macerata.
“Un altro elemento che in Italia distingue la CISL dai sindacati socialisti e comunisti -ci spiega Canavesi-, e sin da subito, è la necessità di un’autonomia dalla politica. Se pensiamo a un sindacato come la CGIL dell’epoca, il rapporto fra partito comunista e sindacato era molto forte, il legame e conseguentemente le scelte che venivano fatte erano molto più determinate dalla linea dettata dal partito. Ecco, la CISL nasce proprio con l'idea di superare una impostazione di questo tipo, pur riconoscendo nella DC un interlocutore privilegiato”.
Su questo conviene anche Daniel Zanda, il quale ritiene che l’autonomia sia addirittura un “vanto” del suo sindacato, e ci spiega: “Noi non siamo né di sinistra, né di destra, né di centro. Noi valutiamo nel merito quelle che sono le politiche, quelle che sono le proposte, quelle che sono le questioni da un punto di vista sindacale che riguardano i lavoratori e le persone che noi rappresentiamo.
Questo livello di autonomia e indipendenza dagli schemi classici della politica ci permette di vivere la dimensione sindacale con una grande libertà e responsabilità. Per noi non una cosa è, a prescindere, giusta o sbagliata, perché non rappresentiamo un determinato colore o orientamento politico, ma a caratterizzarci è la libertà e la responsabilità di guardare le cose in modo pragmatico, nel loro merito”.

Conflitto o partenariato?
Per Guido Canavesi c’è inoltre un punto molto importante che, storicamente, contraddistingue la CISL dai sindacati socialisti e marxisti dal punto di vista operativo: “La CGIL”, ci spiega, “ha sempre affermato, e in fondo lo fa anche oggi, il primato del contratto collettivo nazionale, il primato della garanzia dell'uguaglianza di tutti i lavoratori.
La CISL, invece, su questo punto si è sin da subito smarcata: ha infatti assunto e teorizzato il valore della contrattazione “territoriale”, o dei livelli inferiori, ovvero in particolare il livello aziendale, il riconoscimento dell'esistenza di diversità territoriali e di contesto. Un’impostazione di questo tipo risponde al concetto di sussidiarietà tipico e centrale nella Dottrina sociale della Chiesa Cattolica”.
Questa diversità nelle modalità d’azione rivela in realtà il punto chiave di una profonda diversità culturale e perciò politica. “Nella concezione marxista”, spiega Canavesi, “lo strumento di azione sindacale è la lotta di classe, concezione che implica che il datore di lavoro è un nemico a priori”.
“La CISL”, continua, “ha invece oggettivamente un punto di partenza diverso, e che apre a prospettive diverse. Il datore di lavoro non è un nemico, ma un soggetto con cui collaborare. La scelta della CISL di favorire la contrattazione territoriale e l'autonomia ha dentro anche quest'idea. Mentre un rigido arroccamento sulle posizioni del contratto collettivo nazionale, nasce invece dall’idea, appunto, di un soggetto che è al vertice, che decide e conduce”.
“A livello operativo”, conclude Zanda, “questa impostazione ha una conseguenza: occorre agire in una logica non conflittuale, di scontro necessario. Non vuol dire che le cose vanno bene così come sono, vuol dire andare a cercare le soluzioni con un percorso sempre partecipativo, vuol dire andare a trovare le giuste convergenze. E questo non è rivendicare meno, ma io penso sia rivendicare meglio".

Un'idea di sindacato - A colloquio con Gianluca D'Ettorre
Qualche giorno fa è avvenuto il cambio della guardia in seno all’OCST. È l’occasione per una chiacchierata con il nuovo presidente, Gianluca D’Ettorre, già da tempo a capo del Sindacato Docenti dell’organizzazione.
D’Ettorre, si ha spesso l’impressione che quando si parla di “Dottrina sociale della Chiesa” la si riduca a una sorta di briglia sul collo del cavallo sindacale, simbolo di una “vera classe operaia” necessariamente in lotta. È questa, almeno, l’impressione che di regola i media e la cultura politica trasmettono.
In effetti la Dottrina sociale della Chiesa viene spesso ridotta e strumentalizzata da chi la cita. Essa è ben più ampia di un programma o di un metodo sindacale, è una visione e una proposta che abbraccia tutte le dimensioni della persona, i suoi rapporti interpersonali, quelli con la realtà, all’interno di quelli con il suo Creatore. Se è vero, ad esempio, che nella dottrina sociale la pace è un valore, è altrettanto vero che lo sono pure a giustizia, la dignità e la libertà, e questo per ogni uomo, povero o ricco che sia, talentuoso o meno.
Forse la sussidiarietà –assoluta incompresa- è la chiave di volta per capire anche il senso del lavoro e dell’impresa. Non solo fatica e pena. Non solo luogo di sfruttamento di pena e fatica…
La sussidiarietà rientra appunto nel quadro che dicevo, perché affermare che le realtà comunitarie, i corpi intermedi tra la persona e lo Stato sono fondamentali e da coltivare, significa affermare che l’altro, il prossimo, non è mai un nemico, collega o imprenditore che sia, ma è una risorsa, un compagno di cammino (il cristianesimo dice “fratello”) con cui cooperare alla ricerca della giustizia, nel rispetto della dignità e della libertà.

Dal partenariato sociale al lavoro culturale
È questo che intendete dire quando affermate che il “partenariato sociale” è la vostra bandiera?
Sì, il principio del partenariato sociale è un pilastro dell'OCST, che crede appunto nella possibilità di un vero dialogo. Ovviamente il sindacato è pronto, proprio perché consapevole dell'importanza della posta in gioco, a usare anche i muscoli allorquando la situazione lo richieda. Oggi, molto più che in passato, specialmente a causa dell'automazione e del peso crescente del ruolo del capitale rispetto al lavoro: succede che il senso e il valore del lavoro vengano messi in discussione, addirittura direi accantonati, da chi pensa che l’unico e vero bene per la persona sia accedere all'abbondanza materiale, senza un corrispondente sviluppo della persona (che passa necessariamente anche dalla laboriosità).
Quindi il conflitto e la rivendicazione non sono i veri e unici compiti di un sindacato, anche se fanno parte del suo armamentario. Cosa fa allora un sindacato quando non sta usando quelle armi? Uno dei primi punti dello statuto di OCST è "l'assistenza spirituale del lavoratore". Cosa significa? E come si attua?
L'OCST, proprio perché si fonda sulla Dottrina sociale della Chiesa, punta su uno sviluppo integrale del lavoratore. Cosa significa? Per esempio che sosteniamo la formazione professionale, dei nostri dipendenti come pure di quelli delle aziende con le quali negoziamo i contratti di lavoro; sosteniamo la conciliazione tra vita professionale e vita privata, per un lavoro che rigeneri la persona e non la bruci, che porti benefici ai membri dalla famiglia, che le permetta di dedicare energie al volontariato in ogni ambito (a partire dal sindacato).
Siamo da sempre impegnati in attività educative e culturali, organizziamo colonie per bambini a ragazzi, asili nido, favoriamo lo sviluppo di abitazioni a pigione moderata, strutture di incontro per anziani, corsi di riorientamento professionale, prestazioni per i disoccupati. La cosiddetta “assistenza spirituale” permea tutte queste iniziative, che guardano alla persona nella sua unità e non come a un aggregato di risorse e di competenze di cui servirsi o disfarsi; ma è anche garantita da incontri e attività ad hoc con don Marco Dania, che partecipa attivamente ai diversi momenti che scandiscono la vita del sindacato.

Mondo del lavoro, frontalieri, politica
Quali sono i problemi più grossi nell’attuale mondo del lavoro in Ticino?
La qualità e l'attrattiva del lavoro, che oggi sono deboli a tal punto da non riuscire più a richiamare molti giovani ticinesi che hanno studiato in Svizzera interna, o da lasciare settori come quello sanitario o quello alberghiero in situazione di netta dipendenza da lavoratori frontalieri. Perfino nel settore pubblico per alcune posizioni dirigenziali negli ultimi tempi si sono dovuti riaprire i concorsi per carenza di candidati idonei.
A proposito di frontalieri, voi OCST siete il sindacato che più ne aggrega. Perché? E come potete comporre la "rivalità" tra di loro e i lavoratori locali?
È vero, nel corso degli anni anche i lavoratori frontalieri si sono fidati e rivolti sempre più spesso all'OCST, forse perché attratti dall’attenzione specifica alla persona del lavoratore. Per trovare soluzioni nell'interesse di residenti e non, occorre a maggior ragione partire da un lavoro capillare sul terreno, partendo dalle assemblee del personale dalle singole aziende fino a quelle dell'intero settore professionale, cercando di non essere ideologici. Le formule migliori nascono proprio dalle discussioni con il personale e il datore di lavoro alla ricerca di strade concretamente percorribili e rispettose di tutti gli interessati in campo, di residenti e di frontalieri.
Il rapporto con la politica. Per OCST è più un’opportunità o un impedimento? C’è sufficiente autonomia oggi dal partito di riferimento (ilCentro, già PPD)
Il rapporto con la politica è sempre un'opportunità, per difendere i lavoratori agendo laddove si definiscono le leggi e le si mettono in atto. Ovviamente il sindacato deve sempre verificare di non essere condizionato da logiche estranee o contrarie a questo fine. Oggi direi che il rapporto è sano, equilibrato, nel rispetto vicendevole dell'autonomia di partito e sindacato. Più in generale però si osserva tra i politici l’indebolimento di una visione cristiana di quella che si suole chiamare “economia sociale di mercato”, a vantaggio di ragionamenti che affrontano i temi in modo settoriale e disorganico, dove le sirene del massimo profitto e del facile consenso non sono sempre adeguatamente contrastate.